Dorona, l’oro dei dogi

Riscoperta e valorizzazione di un vitigno dimenticato

di Monica Spelta

Riscoperta della Dorona di Venezia: la storia di un tesoro nascosto tra le isole della Venezia Nativa

Il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni è oggi fondamentale strumento per la conservazione del paesaggio e la tenuta degli agro-ecosistemi medesimi.

In quest’articolo vi raccontiamo la storia del rinvenimento di un tesoro nascosto nelle isole della Venezia Nativa.

L’isola di Torcello, dove svetta la basilica di Santa Maria Assunta, Burano, con le sue casette colorate, Torcello e Mazzorbo, sono alcune delle isole che costituiscono la così detta Venezia nativa, la laguna più incontaminata e misteriosa, da sempre contraddistinta dalla tradizione agricola. Davanti il mare, ma alle spalle un gioiello di campagna.

Il tesoro oggetto del nostro racconto è la Dorona di Venezia, un vitigno autoctono a bacca bianca antichissimo, che nei secoli, si è adattato a crescere in queste isole a contatto con i terreni intrisi di acqua salsa delle isole lagunari. Testimonianze della presenza di questo vitigno rimandano ai tempi dei romani. Nel 1966 però si registrò nella laguna una marea record di 194 centimetri sul medio mare che si portò via definitivamente la quasi totalità degli orti e coltivazioni.

Fu così che la Dorona stava per essere perduta per sempre rischiando l’estinzione, tanto che per oltre 40 anni non si è più prodotto vino in laguna.

Fortunatamente alcune piante riuscirono a resistere alla furia dell’alta marea che devastò la piccola isola di Torcello dove sorgeva il vigneto.

Nel 1988, durante una visita alla Basilica di Santa Maria Assunta, la casualità fece notare a Gianluca Bisol, noto produttore di Prosecco Superiore, una vecchia vigna all’interno di un giardino, sito proprio ai piedi della basilica e di proprietà della signora Nicoletta Piccoli, un’antiquaria nativa dell’isola.

Rimasto sorpreso dal vigneto, Bisol chiese alla signora di poter entrare ed ammirare le sue viti, apprendendo da Nicoletta la rarissima presenza di qualche pianta di Dorona veneziana.

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Si trattava degli ultimi esemplari di Uva dei Dogi, un vero tesoro nascosto!

Così dal 2007, a seguito di ulteriori preziosi ritrovamenti, la famiglia Bisol ha deciso di riportare in vita un vino e un vigneto, destinati all’oblio. Nel 2002 venne affittata la tenuta di Mazzorbo, ambiente ideale per il trapianto delle viti.

Nacque così la tenuta “Venissa” con l’onorevole progetto volto a ridare la luce alla vigna e all’antico pregiato vino per restituire un pezzo di biodiversità alla laguna veneziana. Così dal 2007 la Dorona viene coltivata all’interno delle mura della tenuta Venissa, ora guidata da Matteo Bisol, il figlio di Gianluca.

Il vitigno – circa 4 mila piante in tutto – in questi anni ha dimostrato una perfetta adattabilità e grazie al lavoro di Roberto Cipresso e Desiderio Bisol, enologi di Venissa, ha sortito un vino unico al mondo.

La caratteristica peculiare della Dorona risiede proprio nella sua grande capacità di adattamento ad un terreno e un clima ostili: acque iodate, quindi salate, e umidità che originano vini di grande personalità. Giusto per dare un parametro, solitamente l’indice di salinità consigliato per un terreno dedicato a uva da vino è tra le 50 e le 100 parti di sodio per milione: in laguna si arriva a 500.

Con l’annata 2010 nasce Venissa, un vino bianco vinificato come un vino rosso e parte la prima vendemmia in commercio.
Oggi la produzione si aggira alle sole 3500 bottiglie prodotte ogni anno. La vendemmia ha luogo interamente a mano, agli inizi di settembre, dopodiché il mosto fermenta, con macerazione di 22 giorni sulle bucce, in acciaio, ad una temperatura controllata di 16-17°C. Successivamente il vino affina per 18 mesi in acciaio prima di essere imbottigliato.

La bottiglia, nel formato inconsueto da mezzo litro, ha una forma molto riconoscibile e per di più contraddistinta da una foglia d’oro battuta a mano fusa nel vetro ovviamente fatta a Murano.

Ho avuto l’onore di assaggiare questo vino “da dogi” dal colore dell’oro, e pur non essendo un’intenditrice non ho potuto non apprezzare il suo carattere. Si avvertono con chiarezza le note salmastre e iodate fuse agli agrumi, alla mandorla e alle spezie che lo rendono un vino unico al mondo. Semplicemente INDIMENTICABILE.